mercoledì 8 giugno 2016

Il rospo

Questa sera, una sera di giugno zeppa di nebbia e pioggia, ho rivisto l'amico rospo.
Dall'anno scorso in Val di Sella sono arrivate anche le limacce. Diciamocelo: è difficile amare le limacce. Sono viscide, lasciano sulla pelle una pellicola indistruttibile (l'unico modo per togliersela di dosso è strofinare la mano sull'erba, su tuo marito o sul pelo del tuo cane) e devastano l'orto.
E quest'anno eccolo, il rospone, che si fa i giretti notturni attorno a casa nostra. Negli anni scorsi l'ho visto solo di passaggio, ora sembra essersi affezionato.
Arriva una specie, arriva la specie predatrice. Se non interveniamo noi, è la natura a proseguire il suo lavoro, lenta e imperturbabile.
Che bello sapere che tutto un ecosistena respira e si muove attorno a noi.
Buona notte, rospo.

sabato 27 settembre 2014

Della bellezza

Ieri sono stata in città.
Non ho mai amato le città, se non in precisi istanti. Ad esempio, ho amato la città del primo mattino, quando s'iniziano ad alzare le serrande dei negozi e l'aria ha profumo di brioche calde e caffè; e quella sotto la pioggia infinita del lontano autunno del 2000, trasformata in uno specchio d'acqua che, al crepuscolo, rifletteva tutte le luci, al punto che pareva di essere divisi da un altro mondo solo dalla pellicola trasparente della strada.
Nella maggior parte degli altri istanti le città - persino una città piccola e tutto sommato vivibile come Trento - mi comunicano un senso di abbandono, di scollegamento dalla sostanza. Le persone sono di fretta e sospettano. Molte volte non sanno di chi o cosa devono sospettare, e quindi si risolvono a sospettare di chiunque e di qualsiasi cosa. Persino dell'annusare amichevole dei cani, della sorpresa dei bambini e dell'anziano violinista che, anno dopo anno, se ne sta seduto con le sue note spezzettate e il fodero del violino aperto davanti a sè.
Ebbene, ieri è successo che, mentre camminavo per la città, sopra di noi vi fosse un cielo spettacolare, di piccole nuvole tonde contro un azzurro intenso, simile ad un campo appena arato. Bastava un'occhiata perché i colori delle vetrine, i vestiti all'ultima moda dei passanti, i banchetti che promettevano tutto per vendere un niente diventassero minuscoli. Mi sono guardata attorno per condividere quello spettacolo che era impossibile non vedere e ho trovato un anziano signore, forse un turista, che se ne stava in strada con l'obiettivo puntato non sulle bellezze architettoniche di Trento, ma, per l'appunto, sul luminoso campo arato. Una sola persona!
Allora ho capito che sono fortunata a vivere nella bellezza - perché nel luogo fuoriluogo ogni attimo è così, zeppo di bellezza, di cose che mutano in forme meravigliose e bizzarre e crudeli e colorate. A quanto sono stata fortunata ad aver incontrato, nella mia vita e fin dalla mia nascita, persone che mi hanno insegnato a notarla e a cercarla, fosse anche sbirciando attraverso le fessure dei tetti.
E ho pensato solo Grazie.

martedì 23 settembre 2014

Pensieri cresciuti nell'orto

Coltivare un orto insegna cose sulla vita.
L'ho pensato un mese fa, alle prese con disperanti erbacce e timidi trapianti, quando mi sono accorta di una cosa semplice e sbalorditiva.
Davanti a me alcune malconce piantine di cavolo, reduci da più di un incontro con le lumache e semi-soffocate dall'abbraccio troppo affettuoso del convolvolo, si tenevano in piedi a fatica. Ebbene no, il bilancio brassicaceo di quest'estate non è stato esaltante: ventisette tra cavoli Spitfire, verze e cavolfiori piantati, una ventina rimasti in vita - più o meno in vita.
Poco più in là, in una zona dell'orto invasa dalle erbacce che quest'anno avevo dato per spacciata, occhieggiavano due piccole verze. Le avevo piantate l'anno scorso, a luglio, e non erano riuscite a crescere prima che il freddo ci piombasse addosso. Evidentemente non avevano voluto darsi per vinte e avevano atteso la loro occasione, sotto le pesanti nevicate dell'inverno, sfuggendo persino alle nostre incursioni primaverili con la vanga-forca.

Ecco, mi son detta, la vita è esattamente così.
A volte ti ammazzi di lavoro, semini e pianti tantissime cose, annaffi, strappi le erbacce tutti i giorni e magari il risultato è magro e deludente; a volte capita che le cose crescano da sè, senza che tu non te ne accorga neppure.
E talvolta qualcosa che hai seminato tantissimo tempo fa spunta in mezzo alle erbacce... e se ha deciso di crescere lo farà.

mercoledì 13 agosto 2014

Tutto il midollo della vita (post a blog unificati)

A nessuno importerà che ne scriva anch'io.
Tutti, là fuori, ne stanno parlando, e aggiungere la mia voce a questi milioni di voci non farà alcuna differenza.
Ma glielo devo.

Robin Williams è morto due giorni fa.
E neanche questo farà una gran differenza per la maggior parte dell'umanità, occupata a cercare di sopravvivere fino a domani, e poi per un altro giorno ancora, come quasi nessuno si accorge che il cielo fa meno luce quando si spegne una stella.
Per molti sarà solo una notizia in più, da scrivere o da leggere, e poi da oltrepassare, come si oltrepassa un cartello segnaletico mentre si percorre la propria strada, persi nella propria vita.
Ben presto ci saranno nuovi film, e nuovi attori, e la Storia che va avanti.

Eppure, se il nostro essere qui ha un senso, credo stia nel fatto che per qualcuno, anche solo per un'unica inguardata creatura, il nostro passaggio abbia significato qualcosa.
Robin Williams è stato - è - il mio attore preferito. Il mio idolo adolescenziale, quando le mie compagne di scuola appendevano poster di Raoul Bova in classe e io sognavo di volare fuori dalla finestra in compagnia di quel Peter Pan adulto che aveva conservato i suoi pensieri felici.

I suoi film hanno teso la mano alla mia anima e l'hanno aiutata a spiccare il volo proprio quando aveva bisogno di parole che la aiutassero a volare.
Non sono mai riuscita ad accettare che quei personaggi fossero "solo" personaggi: troppo forte e precisa la personalità che riusciva a dare ad ognuno, dandomi l'impressione che, nella loro diversità, andassero a comporre tutti assieme la verità di quell'unico, inimitabile essere umano che aveva dato loro voce, forma e soprattutto sguardo - quello sguardo incredibile, profondo, antico, capace di agganciare l'Oltre.
E continuerò a credere che Robin Williams fosse esattamente questo: un poeta, un sognatore, un delizioso folle; un uomo che amava tanto e soffriva tanto, capace di sdraiarsi nell'erba per vedere le stelle ed emozionarsi come un bambino, in perenne lotta - come tutti i grandi innamorati della vita - per rimanere in piedi tra paradiso e inferno, tra il rumore della folla e il silenzio dell'anima.

Ho sempre pensato all'ironia del fatto che, tra i tanti libri letti, fosse stato un film ad imprimere alla mia vita la sua svolta più importante, donandomi il desiderio di essere me stessa e inseguire i miei sogni e regalandomi delle citazioni che erano vere e proprie indicazioni di vita (tra cui la profetica "Andai nei boschi perché volevo succhiare tutto il midollo della vita... e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto"); eppure ho sempre voluto riconoscere all'Attimo fuggente, e a colui che in modo sublime aveva incarnato l'ideale del professor Keating, questo ruolo fondamentale per me.
Così come ora, in questo blog vuoto ed echeggiante, in cui è tanto strano parlare solo per riascoltare la mia voce, so di dovergli il mio ricordo.

Grazie, Robin Williams.





lunedì 30 settembre 2013

Nebbia

Poco prima che scendesse la sera sono uscita a respirare nebbia.
Tutt'attorno al nostro nido premeva con il suo morbido oblio, cancellando persino gli abeti che delimitano il "territorio di casa" verso nord, ad eccezione della loro punta.
L'aria era completamente pulita di altre presenze umane, attorno a me non c'era un suono.
L'autunno, quassù, è una presenza forte e distinguibile. Qui si avverte chiaramente la personalità delle stagioni, che è fatta di suoni (o non-suoni), profumi e presenze (o assenze).
Il vuoto che era attorno a me nel tardo pomeriggio è simile a quello che ho creato attorno a me in questi mesi, prima di attesa e ora di maternità.
Perché, sì, nel fuoriluogo da quasi quattro mesi è arrivata una bimba cui abbiamo dato il nome della vita. E sì, ho lasciato a valle quasi tutto (ad eccezione della scrittura, la musica e gli affetti buoni) per chiudermi per un po' nel bozzolo necessario a nutrire una nuova esistenza, cercando di darle il buono e lasciare ancora per un po' fuori il cattivo - inquinamento, ansie, fretta, malizia, luoghi comuni.

Lo sospettavo, ora ne sono certa: ci vuole fegato - e incoscienza - per fare il vuoto attorno a sè.
Nel caos degli impegni e degli incontri è facile pensare alla propria vita come ad una certezza; fare il vuoto attorno a sè significa rimanere per lunghi istanti soli con se stessi e con la strada fatta, a confrontarsi con le proprie debolezze e i propri rancori, ad affrontare vanamente per l'ennesima volta la Domanda (Perché sono qui?), a cercare di fronteggiare il futuro sapendolo incerto.

Eppure c'è una dura bellezza in quest'assenza di rumori di fondo, in questo spaesante Stare senza aver null'altro da fare che vegliare su una vita nuova e sull'incredibile vicenda dell'incontro di una creatura con l'infinito del mondo.

Ancora non so se uscirò dalla nebbia piegata (magari dall'artrosi) o più forte.
Per ora mi limito a rimanere sospesa qui in mezzo, senza vedere nulla di più che le punte degli abeti e le foglie umide del melo cotogno.
Ad attendere di avere trentadue anni.
E a pensare che tra due settimane farò la cotognata.

sabato 22 dicembre 2012

Festeggiare i miracoli

22 dicembre. Una data importante.
Eh, sì, in effetti non è avvenuta la fine del mondo, direte voi (a proposito, ma quelli che l'attendevano che fine hanno fatto?).

...Niente affatto. Perchè da ieri, il magico giorno del Solstizio, siamo entrati nell'inverno. L'unico inverno 2012 che mai ci capiterà di vivere.
Cosa c'è di importante in una data che si ripete ogni anno?, mi risponderete.
Cosa c'è di importante in un compleanno? Nel Natale? Nel Capodanno? In una qualsiasi ricorrenza, significativa anche solo per una persona al mondo?
Che ogni ricorrenza ci ricorda che il tempo scorre, arrotolandosi su se stesso come un serpente mai fermo, mai finito. Uguale e diverso, per sempre; o quantomeno per il sempre che ci è concesso.
E' forse per questo - perché questo ripetersi infinito, indifferente al nostro invecchiare ci angoscia - che ogni tanto ci inventiamo che il mondo debba finire? Perché in qualche modo speriamo di assistere al momento in cui il serpente passerà oltre come ad un momento rivelatore, che ci svelerà infine il senso sfuggente della nostra esistenza?

Come per ogni cosa, quassù in mezzo al silenzio dei boschi il solstizio è una cosa molto più semplice.
Un sole nordico, spesso nascosto e dilatato da un velo argentato che promette neve, che nasce e poco dopo scompare dietro le cime austere delle Prealpi, e il cui venire e andare inizierò a registrare sul calendario, gioendo ancora una volta, come ogni anno fin da quand'ero piccola, del suo crescere ogni giorno: del solenne concepimento del nuovo anno da parte del cielo, questo miracolo meraviglioso cui mi ha iniziato mia madre e che io insegnerò ai miei figli.
La neve, discreta, che contorna i rami degli alberi.
Gli uccelli che si alternano per mangiare i semi dai sacchettini che mia madre ha appeso al nostro susino. Le cince, veri capitani coraggiosi, il picchio rosso guardingo, il ciuffolotto solitario e il nobile pettirosso.

Quando scendo in valle incontro gente indaffarata che mi informa, lamentosa, che la necessità di procurare regali di Natale non le permette di avere un attimo di tregua .
Serve davvero così tanto per festeggiare un miracolo?

giovedì 26 aprile 2012

Seme e poi frutto

E' arrivata la primavera, lontano dal mondo.
Là fuori c'è il caos. I prezzi della benzina continuano a salire, e non passa giorno senza che si senta la brutta storia di qualcuno che ha perso il lavoro, è in mobilità, non sa come cavarsela.
Un amico, partito qualche mese fa per la Patagonia e rientrato alcuni giorni or sono, ci ha detto sbalordito che gli sembra di essere arrivato in un Trentino diverso.

Già: la crisi è arrivata anche quassù al Nord. Tra la gente, dico. L'iperuranio politico e le lobby stanno ancora raschiando quel che rimane sul fondo del barile...


Noi facciamo fronte alla crisi preparando l'orto. E' una specie di mantra, vangare e seminare il nostro orto di 100 mq dicendoci - a metà tra il serio e il divertito - che ad ogni modo, comunque dovessero andare le cose, almeno avremo qualcosa da mangiare.
Al momento per me il futuro è diventato questo - piantare un seme e immaginarlo crescere fino a quando, tra un paio di mesi, diverrà pianta o frutto.
Noto con un misto di preoccupazione e fatalismo che ultimamente proprio a me, abituata a soppesare i possibili effetti positivi o negativi di una qualsiasi azione in una prospettiva di lunga durata, capita di vivere, letteralmente, alla giornata.

Vedo e ascolto molte cose che non mi piacciono, dal livello micro al livello macro. Dall'aggressività latente di alcuni, magari cammuffata dalla "sana assertività" che fa tendenza nel 21° secolo, alla disperazione di altri, alla noncuranza di altri ancora - dai giochi dei politici a quelli del mondo dello spettacolo, la cui immagine distorcente talvolta mi investe con la forza con cui tende a investire chi non possiede televisione.
Vorrei fare qualcosa. Ma non so cosa potrei fare, a cosa potrei servire.
Il mio mondo è troppo semplice. Io credo che tutto si possa sistemare soltanto recuperando la semplicità - seme e di conseguenza frutto, dire l'essenziale o non dire... insegnare e praticare l'amore - e non riesco a interfacciarmi con un mondo così complesso, o che vuole esserlo.
E' un mio limite, probabilmente, a meno che non sia un limite del mondo - ma la Voce del mio solerte super-io mi avverte che se tutti dicono che una cosa è rossa sbaglia chi la vede verde, anche qualora fosse davvero verde.

Così faccio l'orto, e mi sembra che in questo momento sia l'unico modo per oppormi a questa follia girovaga, per dire a me stessa che io non mi sto perdendo, che tengo i piedi ben saldi in terra e non mi faccio rubare le poche cose importanti.
Gli affetti.
I pensieri.
Le gambe per camminare. Un passo dopo l'altro.
Seme e poi frutto.